Perché Dissapore ha allontanato Valerio Massimo Visintin?

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4 min read2 days ago

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Valerio Massimo Visintin

Il giornalismo enogastronomico dovrebbe fondarsi sulla credibilità. Eppure, quando chi denuncia mancanze di trasparenza viene punito e chi è accusato si rifugia nel silenzio, diventa evidente quanto il sistema sia fragile. È esattamente ciò che è accaduto con Valerio Massimo Visintin, critico del Corriere della Sera noto per il suo stile tagliente, allontanato da Dissapore dopo aver messo in discussione i comportamenti poco limpidi di Valentina Dirindin, collaboratrice della stessa testata. La vicenda ha portato alla rottura dei rapporti tra Visintin e la testata del gruppo NetAddiction, con cui negli ultimi mesi aveva avviato, insieme ad Aldo Palaoro, una joint venture per organizzare il corso “Scrivere di gusto”.

La vicenda ruota intorno alle accuse circostanziate lanciate da Visintin, che ha puntato il dito contro il conflitto di interessi della Dirindin. Secondo quanto denunciato, la giornalista svolgerebbe contemporaneamente il ruolo di cronista per Dissapore, Vanity Fair e Repubblica e quello di PR per chef e aziende legati al mondo dell’enogastronomia. Un esempio lampante è il caso Lavazza: in un articolo su Vanity Fair, la Dirindin celebra il calendario aziendale, ma il giorno seguente invia comunicati stampa come PR per eventi sponsorizzati dalla stessa Lavazza. Non meno significativo è il rapporto con lo chef Jacopo Chieppa, per cui la Dirindin avrebbe curato comunicati stampa celebrativi dopo aver narrato, sulle testate per cui scrive, le imprese di quella stessa stella Michelin. Un intreccio che mina inevitabilmente la credibilità del suo lavoro giornalistico.

Di fronte a queste accuse, Valentina Dirindin non ha fornito alcuna spiegazione. Non ha negato né chiarito come riesca a conciliare questi ruoli senza cadere in conflitti di interesse. Invece di affrontare il merito della questione, ha scelto una strada diversa: quella del vittimismo. Nei suoi interventi su Facebook e Instagram, ha accusato Visintin di persecuzione, definendolo un “personaggio con il passamontagna in testa”, e ha parlato di azioni legali affidate ai suoi avvocati, senza però fornire alcuna risposta concreta. Il silenzio sulle questioni sollevate, accompagnato dalla scelta di bloccare chiunque esprima dubbi sui suoi social — come accaduto a IWDP su Facebook e Instagram — non solo non chiarisce, ma alimenta ulteriormente i sospetti. Se non c’è nulla da nascondere, perché evitare il confronto?

Questo commento da parte di Dominque Antognoni è stato cancellato dalla bacheca di Valentina Dirindin

A complicare ulteriormente la vicenda è la reazione di Dissapore. La direttrice Chiara Cavalleris, che con orgoglio proclama la trasparenza delle sue iniziative editoriali, non ha chiesto alla Dirindin di chiarire le accuse, ma ha deciso di privarsi della collaborazione di Visintin, punendo chi ha osato denunciare. Questo gesto stride con le dichiarazioni della stessa Cavalleris, che difende con forza l’indipendenza della propria redazione, soprattutto in occasione della presentazione della classifica del miglior panettone d’Italia. Ma come si può proclamare trasparenza quando si sceglie di proteggere chi è accusato, invece di fare chiarezza?

L’allontanamento di Visintin non è solo una questione interna a Dissapore, ma il simbolo di un problema più ampio. Quando il sistema preferisce eliminare chi solleva domande piuttosto che affrontare le accuse, viene compromessa la fiducia non solo nel singolo giornalista, ma in tutto il settore. In un mondo già segnato da premi a pagamento e classifiche costruite a tavolino, il pubblico si trova sempre più spesso a dover distinguere l’informazione reale dal marketing mascherato. E in questa confusione, perdere una voce indipendente come quella di Visintin rappresenta un danno irreparabile.

Se Valentina Dirindin ha davvero a cuore la sua credibilità, dovrebbe rispondere nel merito, chiarendo punto per punto le accuse. Parlare di persecuzioni e rifugiarsi nel silenzio legale non basta a dissipare i dubbi, soprattutto quando si sceglie di censurare chi pone domande. Dissapore, dal canto suo, ha perso un’occasione preziosa per distinguersi come un esempio di trasparenza in un panorama sempre più torbido. Punire chi denuncia per proteggere chi è accusato non è solo una scelta sbagliata: è un segnale di resa, un’ammissione che la trasparenza proclamata è, in realtà, solo di facciata.

Non è la prima volta che Valerio Massimo Visintin si trova al centro di polemiche per aver denunciato con schiettezza le storture del giornalismo enogastronomico. Un precedente significativo è quello che ha coinvolto Margo Schächter, collaboratrice di testate prestigiose come La Cucina Italiana e Vanity Fair. In quell’occasione, Visintin aveva sollevato il tema del cosiddetto “markettismo”, accusando la giornalista di aver scritto articoli troppo vicini agli interessi del Consorzio Formaggi dalla Svizzera, sponsor di un evento a cui lei aveva partecipato.

Anche in quel caso, le reazioni non si fecero attendere. La Schächter rispose con un’ironia sterile e una minaccia di querele per diffamazione, cercando di dipingere Visintin come un aggressore privo di fondamento. Ma alla fine non successe nulla. Nessuna querela, nessuna azione legale. Perché? Semplice: i fatti riportati da Visintin erano veri. Lo stesso scenario sembra ripetersi oggi con Valentina Dirindin, che si rifugia dietro al vittimismo e a vaghe allusioni legali, ma senza mai smentire le accuse mosse contro di lei.

Il precedente Schächter insegna che chi ha ragione non ha bisogno di minacciare, né tantomeno di censurare. Il silenzio e l’assenza di azioni concrete non fanno altro che confermare la forza delle parole di chi denuncia. In questo gioco al ribasso, il giornalismo enogastronomico si avvita su sé stesso, perdendo ogni giorno un pezzo di credibilità. Senza risposte chiare, né dalla Dirindin né da Dissapore, la domanda resta aperta: in un settore che vive di fiducia, vale davvero la pena sacrificare la propria reputazione per proteggere chi non vuole chiarire?

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Pagina di meme e shitposting a tema vino. Ogni tanto si prova a scrivere qualcosa di serio. Quasi.

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