La florida industria dei corsi di scrittura enogastronomica

Italian Wine Drunkposting
4 min readAug 25, 2024

--

Comprate il vostro corso e diventate food writer!

Agosto sta per volgere al termine, le giornate si fanno già più brevi, le temperature iniziano a essere più sopportabili e i reel di Instagram, che fino a ieri ci deliziavano con filmati di tuffi maldestri e cadute esilaranti, ora ci bombardano con annunci pubblicitari dal sapore vagamente opportunistico. Tra questi, spicca un corso di “Food Writing” proposto da Csaba della Zorza, personaggio televisivo e direttrice editoriale di Marie Claire Maison, e Margot Schachter, editor enogastronomica freelance dal curriculum variegato. Con l’allettante promessa di trasformare una passione per la scrittura culinaria in una professione, questo corso di ben otto ore si propone di insegnare a scrivere libri di cucina, aprire blog o vedere i propri articoli pubblicati su giornali. Il tutto alla modica cifra di 299 euro (più IVA) se ci si iscrive entro fine agosto. Non c’è che dire: un vero affare, se credete che otto ore possano bastare per diventare il nuovo Artusi.

Ma questo corso è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno ormai dilagante: l’industria del food, che non riuscendo più a campare di copie vendute né di pubblicità, ha deciso di seguire la strada tracciata dai guru del marketing digitale. La lezione è chiara: se vuoi fare soldi, devi vendere un corso. Meglio ancora se il corso è firmato da un brand riconoscibile, che con la sua reputazione funge da calamita per i clienti. È una strategia che funziona da anni in altri settori, come quello economico e manageriale, dove testate come Milano Finanza o Il Sole 24 Ore si sono lanciate da tempo nel business della formazione. E così, anche il mondo del food ha deciso di tuffarsi in questo mercato, con testate come Gambero Rosso e Dissapore che offrono corsi mirati a “formare” la nuova generazione di scrittori enogastronomici.

È curioso, però, notare come persino una figura come Valerio Massimo Visintin, noto critico mascherato del Corriere della Sera, sia salito sul carro dei corsi di scrittura, prima in proprio e poi con Dissapore proponendo un corso di dieci lezioni per la modica cifra di 1500 euro. Un segno dei tempi, forse, ma anche un segnale di quanto il settore sia in crisi, se persino le figure più critiche si trovano a insegnare a futuri “scrittori” che difficilmente vedranno mai il loro nome stampato su carta.

Il gran mercato della scrittura enogastronomica

Non possiamo fare a meno di ricordare il curioso scontro tra Margot Schachter e Valerio Massimo Visintin avvenuto lo scorso anno. La Schachter, invitata a un evento del Consorzio Formaggi dalla Svizzera, aveva pubblicato un articolo con un link a tale Consorzio, scatenando critiche da parte di alcuni utenti che l’accusavano di fare pubblicità velata. Visintin non aveva esitato a lanciare un’invettiva contro quella che definì “giornalismo-sandwich”, cioè giornalismo venduto al miglior offerente. La Schachter rispose con un video strappalacrime, lamentando un attacco ingiustificato. Nonostante tutto, nessuna querela fu presentata e la vicenda si chiuse in un nulla di fatto, ma ora, ironicamente, li troviamo entrambi a vendere corsi di scrittura enogastronomica.

Tutto questo porta a una riflessione amara: siamo già arrivati al punto in cui ci sono più scrittori di enogastronomia che lettori. Con tanto di attestati, pergamene e targhette da esibire in salotto, ma con ben poche reali opportunità di carriera. E chissà quale sarà il prossimo passo di questa industria ormai agonizzante: forse un corso su come realizzare un podcast a tema enogastronomico? Magari tenuto da una food blogger di Ariccia che spiega come realizzare contenuti sponsorizzati da grandi marchi dell’industria alimentare o della grande distribuzione? Nulla sembra troppo assurdo in un settore che ormai naviga a vista, sempre più schiavo delle mode e sempre meno ancorato alla realtà.

E qui arriviamo al punto cruciale: piaccia o meno, nel mondo dell’enogastronomia fa la differenza vivere il “dietro le quinte”. Non basta partecipare a cene offerte, viaggi merenda o degustazioni in compagnia di illustri colleghi. Bisogna sporcarsi le mani in cucina, in cantina, in sala, sul campo. Bisogna conoscere il prodotto dalla sua origine, capirne le fatiche, i rischi, le variabili che determinano il risultato finale. Solo chi ha vissuto queste esperienze può arrivare a scrivere di enogastronomia con cognizione di causa, senza scadere nella vuota retorica o nel sensazionalismo da social media. Parafrasando Lionel Hutz, il mitico avvocato azzeccagarbugli dei Simpson: “Se c’è una cosa di cui l’Italia ha bisogno è di giornalisti enogastronomici. Riuscite a immaginare un mondo senza giornalisti enogastronomici?”. Forse sì, e forse sarebbe un mondo con meno fuffa, meno rumore di fondo e, soprattutto, meno cazzate.

--

--

Italian Wine Drunkposting
Italian Wine Drunkposting

Written by Italian Wine Drunkposting

Pagina di meme e shitposting a tema vino. Ogni tanto si prova a scrivere qualcosa di serio. Quasi.

No responses yet