Gambero Rosso: bollini a pagamento anche per le creme alla nocciola
Negli ultimi anni, sempre più aziende alimentari italiane si sono trovate di fronte a una nuova sfida. Oltre alla gratificazione derivante dai riconoscimenti per la qualità dei loro prodotti, le aziende affrontano una crescente pressione che le spinge a investire somme significative per valorizzare economicamente il premio ricevuto. Ciò che un tempo era un semplice attestato di eccellenza, ora si è trasformato in una leva commerciale, con offerte di visibilità che implicano costi non trascurabili per le aziende.
Un esempio emblematico è il premio Top Italian Food 2025 del Gambero Rosso. Da un lato, l’assegnazione del premio attesta la qualità del prodotto; dall’altro, la proposta economica che lo accompagna pone i produttori di fronte a un dilemma: quanto è opportuno investire per comunicare un premio?
Un caso che ha fatto discutere è quello di Silvio Bessone, maestro cioccolatiere del Santuario di Vicoforte, che avrebbe ricevuto dal Gambero Rosso il riconoscimento per la sua “Crema nocciolina fondente”, come riportato pubblicamente dalla sua pagina ufficiale. Contattato da IWDP, Bessone ha voluto sollevare una questione critica sull’intero sistema dei premi, rivelando dettagli che fanno riflettere.
“Non ho mai chiesto nulla al Gambero Rosso,” spiega Bessone. “Non ho mai ricevuto richieste di campioni da valutazione… forse potrebbero aver acquistato il prodotto dal nostro e-shop. Ma nulla che mi facesse pensare a partecipare ad un contest.”
Il pacchetto offerto dal Gambero Rosso, per sfruttare appieno il riconoscimento Top Italian Food, richiede un investimento di 10.000 euro + IVA per ogni prodotto premiato. Tale somma copre la visibilità all’interno della pubblicazione in diverse lingue, l’inserimento sui siti ufficiali del Gambero Rosso, e la partecipazione all’evento di presentazione con un proprio stand. Inoltre, l’azienda premiata può utilizzare il logo Top Italian Food per un anno su packaging e comunicazioni. Questa dinamica non è nuova. Proprio come avviene nel settore vinicolo, dove premi come i Tre Bicchieri del Gambero Rosso sono diventati un’opportunità per vendere targhette e bollini ai produttori, anche i riconoscimenti alimentari stanno seguendo un percorso simile.
“Da sempre questi premi ‘farlocchi’ mi infastidiscono,” prosegue Bessone. “Sono solo un carrozzone economico studiato per fregare soldi ai vari imprenditori sempliciotti che pensano davvero che a qualche testata gli freghi di loro solo per la gloria.”
Questa critica solleva interrogativi sul vero valore di tali riconoscimenti: vale davvero la pena investire così tanto per un premio che dovrebbe essere già stato assegnato per merito? O come suggerisce Bessone, la partecipazione a questo tipo di iniziative rischia di essere più una spesa che un reale vantaggio commerciale? Bessone fa un parallelismo con altri premi, come il Chocolate Award, sottolineando le dinamiche commerciali che li regolano.
“Per partecipare bisogna mandare il prodotto, pagare €50 per articolo… e poi inizia con la selezione nazionale, quella europea, e infine la mondiale, con un costo totale di €150 per articolo.”
Ma non finisce qui: secondo Bessone, per aumentare le possibilità di ottenere un riconoscimento, è utile partecipare a corsi costosi tenuti dai giudici stessi!
“Peccato che però per potersi accaparrare premi, basati sulle loro personali credenze, sarebbe utile svolgere i corsi presso la giudice, guarda caso una delle organizzatrici, e pagare il primo a €250, il secondo a €500 e il terzo con diploma a €1.000.”
Queste dinamiche fanno apparire i premi meno come sigilli di qualità e più come strumenti commerciali, accessibili a chi è disposto a pagare. E le enoteche e i negozi specializzati, afferma Bessone, contribuiscono a perpetuare questo meccanismo:
“Poi le enoteche, i negozi specializzati si scannano per mettere nelle loro vetrine i cioccolati delle varie Champions League dell’enogastronomia.”
Di fronte a tali costi e alla commercializzazione crescente dei premi, le aziende, soprattutto le più piccole, si trovano di fronte a un bivio: pagare migliaia di euro per promuovere il riconoscimento o limitarsi a ricevere il premio senza sfruttarlo a fini di marketing. Nel caso del Top Italian Food 2025, Silvio Bessone ha sollevato pubblicamente la questione, mostrando la sua volontà di non assecondare questa dinamica.
“Lo so, sono un asociale!” afferma Bessone, con tono ironico ma deciso. “Ma chissenefrega se non amo la piaggeria e le false informazioni o attribuzioni.”
Il cioccolatiere conclude con un appello ai consumatori, invitandoli a una riflessione più attenta.
“Penso sia l’ora che i consumatori si sveglino!” incalza Bessone, suggerendo che il pubblico debba iniziare a guardare con occhi più critici i premi e riconoscimenti, cercando di capire cosa realmente si cela dietro di essi.
Questa vicenda non riguarda solo un singolo premio o un singolo cioccolatiere. Mette in luce una problematica più ampia legata al mondo dei riconoscimenti enogastronomici. Se un tempo erano strumenti per garantire la qualità dei prodotti, oggi sembra che il loro scopo primario sia diventato quello di alimentare un mercato parallelo di visibilità e prestigio, riservato a chi può permetterselo. La domanda resta aperta: quanto valgono davvero questi premi? E, come suggerisce Bessone, sono più utili alle aziende che li ricevono o alle guide che li assegnano? Ai posteri l’ardua sentenza.