Pinot nero: c’è qualche luce nella nebbia dell’Oltrepò Pavese
Una denominazione chiamata a fare i conti con sé stessa, con l’altissimo livello di frammentazione dal punto di vista produttivo, una qualità media interessante ma senza veri acuti per il metodo classico e gravi crisi di identità quando si tratta di rossi. Questa è la fotografia che si può scattare a “Oltrepò, terra di Pinot Nero”, manifestazione tenutasi lunedì 30 settembre all’Antica Tenuta Pegazzera a Casteggio.
Uno dei problemi principali emersi durante l’evento è, per l’appunto, la frammentazione produttiva che sembra essere il tratto distintivo di molte delle cantine partecipanti. In linea teorica, sarebbe auspicabile mantenere pochi fronti aperti, consolidare l’identità aziendale e focalizzarsi su un numero contenuto di etichette per puntare su una maggiore riconoscibilità. Tuttavia, è facile imbattersi in realtà con più referenze che ettari, sollevando dubbi sulla sostenibilità di questo approccio. Anche se ci interroghiamo sul Pinot Nero e le sue doti, spesso gli sforzi aziendali si disperdono in mille rivoli, che rispondono al nome di Sangue di Giuda, Buttafuoco, Riesling italico e renano, Pinot Grigio, Barbera, Moscati, Cabernet Sauvignon, Merlot, Chardonnay, Muller Thurgau, ecc. Un esempio concreto? Una realtà nota a livello nazionale come Monsupello mette in campo 7 spumanti Metodo Classico per 170mila bottiglie e per il resto della linea totalizza 150mila bottiglie con 7 bianchi, un rosé, 3 vini dolci e ben 15 (quindici, ndr) rossi. Questa cantina non è l’unica a presentarsi con un profilo di questo tipo. Anzi.
Tutto ciò inevitabilmente toglie energie e risorse da quello che dovrebbe essere il focus principale. A soffrire sono quelle che dovrebbero essere le punte di diamante: il metodo classico dell’Oltrepò Pavese è generalmente un prodotto in grado di offrire affidabilità di prestazione con una bollicina talvolta graffiante, ma comunque appagante nel complesso. Il consumatore difficilmente rimarrà insoddisfatto di quanto bevuto, a fronte di una spesa solitamente inferiore rispetto ai pari categoria di Franciacorta e Trento Doc. Tuttavia, a differenza di questi “cugini”, manca all’appello una vera punta di eccellenza che funzioni da esempio da imitare, capace di impattare il mercato per qualità media, volumi, prezzo e riconoscibilità.
Il pinot nero vinificato in rosso rappresenta la vera sfida per molti produttori dell’Oltrepò. Si tratta di una varietà insidiosa e tecnicamente difficile, in grado di mettere a nudo le capacità di vignaioli e produttori. L’idea generale è quella di presentare una proposta giovane affinata in acciaio e un’altra di livello superiore, affinata in legno grande o piccolo senza particolare ricerca creativa o gusto per la sperimentazione su materiali alternativi. All’alba del 2025, diverse aziende non hanno esitato a usare il termine “barricato” per descrivere quest’ultima tipologia. Il pinot nero è un’uva esigente e capricciosa in termini di cure e attenzioni e, purtroppo, non sono mancati casi di interpretazioni ingenue, con estrazioni legnose eccessive che hanno portato a note di vaniglia da pasticceria o problemi di pulizia nelle botti che hanno dato luogo a note di brett. A ciò si aggiungono tannini scorbutici donati da vinificazioni a grappolo intero poco felici e, soprattutto, sentori smaltati tipici di malolattiche gestite approssimativamente. Tuttavia, esistono anche produttori dotati di concretezza, in grado di dare dignità a un’uva che in Italia trova dimostrazioni di tutto rispetto, specialmente in Alto Adige e alcune località della Toscana. Resta però il dubbio sulla reale qualità media di un distretto e, soprattutto, sul suo potenziale produttivo in tal senso. In altre parole, quante bottiglie di pinot nero vinificato in rosso possono essere rilasciate ogni anno e con quale costanza qualitativa?
Non pretendiamo di essere definitivi nei giudizi dopo aver assaggiato le etichette delle aziende (una trentina quelle presenti) che hanno partecipato a “Oltrepò, terre di Pinot Nero”, ma ci siamo fatti un’idea complessiva. Ricordiamo che tutto l’Oltrepò può contare su 13mila ettari, di cui 3000 piantati a Pinot Nero, lavorati da 350 realtà. Tra tutte queste, come dicevamo sopra, manca però un soggetto capace di caricarsi sulle spalle il distretto. Non si parla di un messia, ma poco ci manca, quando si discute dell’imminente debutto del nuovo progetto avviato da Berlucchi, che dovrebbe rilasciare nel 2027 le prime 50mila bottiglie di Cruasé con l’obiettivo di rilanciare il concetto di pinot nero rosato millesimato. Se l’impressione ricavata dagli assaggi forniti da questa manifestazione è che non ci sia una vera e propria linea guida da seguire, la speranza di molti (e forse anche il motivo di un certo entusiasmo) è che la famiglia Ziliani possa fornire un tracciato chiaro. Non resta che aspettare e vedere come si evolverà questo progetto.
Qui di seguito alcune delle etichette che sono emerse durante questa giornata di assaggi. Chiaramente, OP sta per Oltrepò Pavese, MC per Metodo Classico. ^_^
Prima gli spumanti…
“Luogo d’Agosto” VSQ Dosaggio Zero Alessio Brandolini
Graffiante e saporito, nitido e di personalità. Approccio leggermente funky, ma fa divertire.
Cruasé Brut Nature OP MC Docg Pinot Nero Rosè Berté Cordini
Dominato da note di scorza di pompelmo e mandarino. Sorso voluminoso e avvolgente.
Brut millesimato OP MC Docg Ca del Gè
La 2018 è una manciata di scorze di agrumi in cui si distingue il lime, piacevolmente citrino e slanciato. La 2017 è più distesa, accomodante e offre rimandi di frutta candita.
Norema OP MC Docg Calatroni
Rosato buccia di cipolla, molto saporito e ricorda un piacevole succo di ribes, finale giovato sui frutti canditi. Bevuta davvero sorridente e giocosa.
Extra Brut OP MC Docg Montelio
Bella bocca gessosa e saporita su marche agrumate, la lingua viene spontaneamente ingolosita da questo sorso dirompente.
Riserva del Fondatore “Vincenzo Comi” Travaglino 2017
Noce moscata, tostatura, nocciole. Sorso sagace e arguto davvero di profondità e alto profilo. Lunghezza sul finale e grandissima pulizia.
…E poi i rossi a base pinot nero!
OP “V18” Cordero San Giorgio 2020
Gamba e finezza, ritmo e ricamo. Agrumi, mora, mirtillo, sezioni balsamiche che rimandano anche a un’idea di macchia mediterranea.
OP “Noir” Mazzolino 2020
L’apertura su parti floreali ci concede un paesaggio primaverile molto suadente, poi entrano in gioco i piccoli frutti rossi e il sottobosco. Sorso tridimensionale, uscita calda.
OP “Tavernetto” Conti di Vistarino 2020
Dimostrazione plastica di chiaroscuro fra tocchi boschivi finemente cesellati e parti di frutti tropicali. Legno molto bilanciato, finale asciutto.
OP “Buttinera” Travaglino 2019
Convincente, pulito, autunnale e cartesiano. Polpa, spezie e radice all’olfatto supportato da note di camino spento e fuliggine. Ti cattura l’attenzione e il sorso si distingue per questi ritorni su sezioni boschive.
OP “Neos” Montelio 2021
Quelle tre cose giuste al posto giusto. Al naso un cesto pieno di ribes, lamponi e ciliegie freschissime. Il tappo a vite agevola una bevuta entusiasmante. Nota tecnica: per il 15% viene affinato in ceramica.