Con Trump alla Casa Bianca, rischio dazi al 10% per il vino italiano

Italian Wine Drunkposting
3 min readNov 6, 2024

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L’onda rossa repubblicana si abbatte sugli Stati Uniti d’America

La rielezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti nel 2024 ha immediatamente riaperto il dibattito sul rischio dazi per il settore vinicolo italiano. Uno dei punti chiave del discorso di vittoria, pronunciato poche ore fa a Mar-a-Lago, è stata infatti l’intenzione di introdurre un dazio del 10% su tutte le importazioni. Questa strategia rischia di avere un impatto diretto sulle nostre esportazioni, colpendo il principale mercato del vino italiano. Per i produttori del Bel Paese questa mossa potrebbe significare una riduzione di competitività e margini, specie per i vini di fascia media.

L’ultimo report dell’Osservatorio del Vino UIV-ISMEA evidenzia che nel 2023 le vendite di vino italiano negli USA hanno toccato 1,71 miliardi di euro, con un incremento in valore principalmente determinato dal rincaro dei listini, piuttosto che da una vera e propria “premiumizzazione” dei prodotti. L’analisi del Corriere Vinicolo segnala poi una flessione nei volumi pari al 2,1%.

Questo contesto rende ancora più preoccupante l’introduzione di un dazio del 10%, che potrebbe inasprire ulteriormente i costi al dettaglio per i consumatori americani, riducendo la competitività del vino italiano rispetto ai prodotti locali e a quelli provenienti da altri Paesi del mondo produttori di vino, in un contesto in cui il consumatore è sempre più sensibile al prezzo con conseguenze dirette sui volumi di vendita.

Il rischio di dazi non è solo una dichiarazione elettorale, ma un ritorno a una politica già attuata da Trump durante il suo primo mandato. Nel 2019, nell’ambito della disputa tra Boeing e Airbus, l’amministrazione Trump impose dazi del 25% su diversi prodotti europei, inclusi formaggi, salumi e liquori, nell’ambito della guerra commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea. Sebbene il vino italiano fosse stato risparmiato, i produttori europei, soprattutto francesi e spagnoli, subirono una contrazione significativa delle esportazioni verso il mercato a stelle e strisce. Lo scorso settembre, in piena campagna elettorale, Trump aveva annunciato in Pennsylvania la sua proposta di un dazio del 10% su tutte le importazioni, accusando l’Unione Europea di praticare una politica commerciale ingiusta che limita l’accesso dei prodotti americani, in particolare agricoli e automobilistici, ai mercati del vecchio continente.

Secondo il Department of Commerce, il deficit commerciale nel settore vinicolo tra USA e UE ammonta a 4,2 miliardi di dollari, una cifra che giustificherebbe, agli occhi del neo presidente, la necessità di un intervento. Se il dazio fosse introdotto, i costi dei prodotti italiani aumenterebbero sensibilmente: una bottiglia di vino venduta a 20 dollari potrebbe raggiungere i 22 dollari, con un impatto negativo sui margini dei distributori e un conseguente calo della competitività. Per il vino italiano, questo rincaro potrebbe colpire in modo particolare i vini di fascia media, meno capaci di resistere a un aumento di prezzo rispetto alle etichette premium.

Secondo il Wine Institute, il dazio del 10% non solo aumenterebbe i prezzi per i consumatori americani, ma avrebbe anche un effetto moltiplicatore su tutta la catena distributiva, dai produttori italiani agli importatori e rivenditori americani. Un recente studio di Mediobanca stima che l’impatto sui volumi di tali misure potrebbe portare a una contrazione fino al 25% delle esportazioni, con un effetto particolarmente negativo per le etichette di fascia media e per quelle con margini più bassi.

I resoconti di Wine Intelligence prevedono che, se il dazio dovesse essere applicato, il vino italiano potrebbe perdere fino a 7 punti percentuali di quota di mercato negli USA. La contrazione delle vendite negli Stati Uniti potrebbe rivelarsi difficile da compensare rapidamente, lasciando molte cantine italiane in una situazione economica precaria.

Se il mercato statunitense dovesse diventare meno accessibile, il Sud-est asiatico potrebbe rappresentare uno dei mercati emergenti più interessanti, con però diversi limiti. L’ICE-Agenzia segnala una crescita annua del 12% nelle importazioni di vino in questa regione, tuttavia il potenziale di assorbimento di questi mercati è ancora lontano dal competere con quello americano, soprattutto in termini di capacità di spesa e preferenze di consumo. Anche il Giappone, pur rappresentando un mercato consolidato per il vino italiano, è ormai maturo e non ha la capacità di assorbire nuovi volumi di importazione tali da compensare una potenziale riduzione della domanda negli Stati Uniti.

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Pagina di meme e shitposting a tema vino. Ogni tanto si prova a scrivere qualcosa di serio. Quasi.

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